“Non posso tenerti per mano.. e allora ti porto nel cuore” – C. Pavese

Ogni anno avvengono circa 2,6 milioni di morti in utero nel mondo, il 98% delle quali nei paesi in via di sviluppo. In Italia ciò accade una volta ogni 350 gravidanze circa e spesso, purtroppo, non è possibile individuare una causa precisa. Sebbene la società sminuisca e a volte addirittura ignori tale evento, la morte pre e perinitale[1] di un bambino è un trauma di notevole entità per i genitori perchè interrompe in modo repentino e violento il processo di genitorialità e con esso una nuova fase della vita. La morte di un bambino, a qualsiasi epoca gestazionale, pone il personale sanitario di un reparto ospedaliero preparato alla gioia di dare la vita, di fronte all’impotenza e ad un cordoglio troppo grande dal quale si è portati a fuggire. Tale distacco porta ad un mancato riconoscimento sociale di tale lutto che lascia la coppia completamente sola nel suo struggimento. Il non poter dar voce al dolore, non poter condividere la propria angoscia senza essere accolti, può portare i genitori ad estraniarsi e a isolarsi complicando il processo di elaborazione del lutto.

“La morte non si ripara, si può solo condividere un dolore e una disperazione. Non è vero che si aggiusta tutto (…). Solo riuscendo ad accettare questo limite…si potrà trovare una dimensione riparativa.”  – T. Cancrini

Per i genitori ogni figlio è unico ed è parte e prolungamento del proprio sé. Anche in presenza di altri figli, il vuoto lasciato dalla morte di un bambino non può essere colmato. Per poter elaborare e uscire da tale lutto, i genitori devono riconoscere il legame affettivo con il loro figlio che non c’è più, poter mantenere viva la sua memoria, narrare la loro storia e condividere la loro esperienza con altri genitori.

La morte di un neonato colpisce entrambi i genitori che manifestano le stesse risposte all’evento luttuoso come depressione e disturbo da stress post-traumatico. Le madri riportano con più frequenza senso di colpa, i padri invece sono più inclini a sopprimere le proprie emozioni per essere maggiormente di sostegno alla propria compagna. La diversa modalità con cui uomini e donne gestiscono il proprio dolore ed elaborano il proprio lutto talvolta può creare incomprensioni di coppia. Sebbene nella maggioranza dei casi i sintomi dati dall’evento traumatico si risolvono dopo circa un paio di anni, la metà delle coppie, dopo un’esperienza di perdita, va incontro ad una nuova gravidanza entro un anno. Soprattutto in donne maggiormente fragili e vulnerabili o in coppie in cui il lutto non è stato sufficientemente elaborato, la sintomatologia di ansia e abbassamento del tono dell’umore si può riattivare o intensificare fino a interferire con il legame di attaccamento con i bambini nati da gravidanze successive.

La figura dello psicologo in alcuni di questi casi risulta essere di grande aiuto.
[1]Con lutto prenatale ci si riferisce alla perdita del figlio in qualsiasi momento della gravidanza; con lutto perinatale ci si riferisce alle perdite avvenute dalla seconda metà della gravidanza fino al primo mese dopo la nascita.
Dott.ssa GIORGIA GIOTTI, psicologa